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sabato 2 maggio 2015

Pittura e devianza. Quando la "follia" crea l'opera d'arte...

Ogni opera d’arte è un crimine non commesso diceva il sociologo tedesco Teodoro Adorno”. Esordisce così, davanti alla platea di ragazzi dell’Istituto Bazoli-Polo di Desenzano, lo psichiatra, psicoterapeuta e criminologo Tito Gattoni, invitato a parlare di arte e devianza. Ovvero cosa succede quando la "follia" ispira il processo creativo? Può nascere l’opera d’arte, come è accaduto a dei grandi della storia dell’arte mondiale, da Caravaggio ai tempi moderni. Conferma lo psichiatra desenzanese che senza un pizzico di follia o di infelicità l’ispirazione sopraggiunge con più fatica.
«L’artista che soffre di certe patologie trasfigura la realtà perché non riesce ad accettarla e crea un proprio mondo fatto di temi e personaggi fantastici. È come un canale che parte dall’inconscio e diventa opera d’arte… Chi non crea, rischia di distruggere: il narcisismo maligno infatti ispira i serial killer!»
Comincia dall’inconscio e dalla storia dell’arte più moderna l’analisi del dottor Gattoni, autore di varie pubblicazioni e appassionato di arte e storia. «È soprattutto dopo il Medioevo, dal 1500, che l’artista inizia a trasmettere ciò che la realtà infonde in lui e comincia ad emergere la sua psicologia».
L’artista, dunque, come anche lo scrittore o il poeta, «crea per soddisfare il proprio bisogno narcisistico di continuare a vivere attraverso le sue opere. C’è un preciso desiderio che si esprime nell’arte: superare lo spazio temporale e diventare immortali, lasciando ai posteri qualcosa che racconta di noi».
Dal test di Max Luscher
Traendo spunto dagli studi dello psicologo svizzero Max Luscher, che aveva approfondito l’utilizzo del colore attraverso campioni della popolazione mondiale, Gattoni ha ricordato come l’uso del colore nasce da una scelta inconscia e la mescolanza di più colori può permettere una lettura psicoanalitica del pittore: per esempio, la predominanza del nero nei quadri di Caravaggio, del giallo in Van Gogh, del rosso in Gauguin... Luscher aveva creato un test psicologico che analizzava lo stato d’animo di un soggetto in base alla sua preferenza per i colori, e anche la pubblicità si è avvalsa dei suoi studi.
"Giuditta che taglia la testa a Oloferne"
Tito Gattoni, mostrando i quadri e l’uso dei colori e delle forme da parte di alcuni artisti psicotici o affetti da disturbi mentali, ricostruisce la personalità dell’artista stesso, la sua psicopatologia, legata anche alle caratteristiche e alle rappresentazioni dei quadri, in rapporto alla storia di ognuno. Michelangelo Merisi da Caravaggio, per esempio, soffriva di disturbo antisociale di personalità. Fu “pittore maledetto”, già famoso in vita, con un’esistenza tormentata. Utilizzava molto il nero, colore della morte e dell’assolutismo, simbolo anche di uno stato depressivo, e il marrone, fusione cromatica tra rosso-sangue e nero-morte. 
"Campo di grano con corvi"

Nell’Ottocento l'olandese Vincent Van Gogh, affetto da disturbo schizoaffettivo e morto suicida, era tormentato da disturbi dissociativi con deliri di onnipotenza. Nei suoi primi quadri prevaleva il giallo, colore del sole e simbolo di energia vitale, maestà e potere ma anche di una certa agitazione interiore e il blu con la sua voglia di pace e tranquillità. Van Gogh si ritraeva spesso nei suoi quadri, nell’ultimo periodo lui diventa il cipresso nero nel “Campo di grano” sorvolato dai corvi, presagio di morte. La prevalenza, in un secondo momento della sua vita artistica, dell’arancione (ottenuto giallo più arancio) esprime la sua eccitazione senza meta e “La notte stellata”, uno dei suoi dipinti più famosi, c’è tutta la sua voglia di quiete.

"Golgota"
Sul finire dell’800 il parigino Paul Gauguin, post-impressionista, dipingeva “visioni” in cui spiccava il rosso: era afflitto da disturbo borderline di personalità con episodi depressivi maggiori; si diede all’alcol, alle donne e contrasse la sifilide, che lo portò alla morte.
La tigre di Ligabue
Edvard Munch, tra ‘800 e ‘900, è il pittore dell’angoscia, tormentato da frequenti attacchi di panico. Infatti il quadro che meglio lo rappresenta è “L’urlo”, divenuto emblema del periodo storico e del suo stato mentale: raffigura se stesso terrorizzato, con presagio di guerra e di morte, che ritornano in altre opere, come il “Golgota” o la “Sera nel corso”. 
Antonio Ligabue invece, artista italiano visionario, era affetto da schizofrenia e “La tigre” esprime l’aggressività che sentiva dentro di sé, dipinta su un fondo blu che anela alla pace. 
"Veduta di Palazzo e Teatro imperiali"
Adolf Hitler fu anche lui artista. Sognava di diventare architetto, ma tanto era bravo nel disegnare luoghi e palazzi, tanto era negato nel rappresentare i volti delle persone. Le sue erano più caricature, poco apprezzate dai professori dell’Accademia di Belle arti di Vienna che non lo ammisero, generando in lui un senso di sconfitta e alimentando il suo disturbo paranoide di personalità, un narcisismo maligno che lo portò a desiderare di dominare gli altri e distruggere ciò che non poteva avere.

Salvador Dalì, pittore catalano tra i più incisivi del Novecento, fu un visionario con eccezionale capacità tecnica. Soffriva di disturbo fobico-ossessivo con sadismo sessuale (era impotente) e nei suoi quadri, per esempio i famosi “orologi molli”, prevalgono il nero-morte e il blu-desiderio di pace, il senso del tempo che sfugge e il senso di impotenza. 
In tutti questi artisti, come in alcuni quadri realizzati dai pazienti dell’ex ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere, «lo stato di disagio interiore – conclude il dottor Gattoni – spinge l’artista a esprimere attraverso l’opera d’arte uno stato di tensione inconscia, che racchiude anche desideri, pulsioni ed emozioni spesso sconosciuti all’autore stesso. L’arte diventa così catartica, come supporto alle terapie tradizionali, e aumento dell’autostima nella contemplazione dell’opera finita…».

“Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida e visionaria follia”

(Erasmo Da Rotterdam)



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