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giovedì 17 marzo 2016

La pasta, che meraviglia tutta italiana!

Un piatto di pasta, ma quanta storia contiene? 
Le lasagne nell’antica Roma, le differenze ancestrali tra raviolo e agnolotto in età medievale, le sperimentazioni e le scoperte geografiche che hanno modificato abitudini di cottura e scelta degli ingredientiLa pasta, da secoli presente nelle famiglie, è diventata grazie alla pubblicità moderna emblema di semplicità e tradizione, senza mai perdere il suo valore originale di piatto che nutre e unisce. Non solo ricette, dunque, ma anche tanta cultura!
Pasta fresca, secca o ripiena, nel suo repertorio ha mille nomi: spaghetti, fettuccine, matasse, maltagliati, sedanini, stelle, quadrucci, ravioli, tortelli e tortellini, pappardelle... Sta di fatto che, come sottolinea il giornalista e critico gastronomico Jacopo Fontaneto (nella foto in basso), docente di Storia della Cucina,  «la pasta è identità della nostra cucina italiana nel mondo ed è identità del nostro pianeta. È merito degli italiani se tutti la conoscono e, come la pizza, incontra il palato universale e si cucina ormai in tutti i Paesi del globo. Con la pasta, inoltre, si affermano sia il concetto della dieta mediterranea sia il principio della struttura del pasto latino: con distinzione del primo e del secondo piatto (la mensa), che seguono all’aperio o antipasto».
Origini, leggende e storia si intrecciano con una cultura nobile e popolare insieme, che ha attraversato due millenni e di è evoluta, strizzando l’occhio a nuove scoperte e sapori esotici. «La pasta era già conosciuta nell’antica Roma – continua l’esperto –. Il lavoro di ricerca nella gastronomia a volte ci riserva scoperte e soddisfazioni incredibili, come scoprire che i ricettari esistevano già ai tempi degli antichi romani. La pasta però incontra il concetto di bollitura solo in età medievale ed è lì che nascono le paste fresche ripiene e dalla torta salata ripiena nasce poi la torta piccola e, a seguire, il tortello».
Il critico gastronomico Jacopo Fontaneto (al centro)
Anche i tipi e i formati di pasta sono tanti, almeno quasi quante le regioni del Belpaese. Al Sud le tradizioni antiche si conservano meglio. Per esempio, continua il critico gastronomico, «le lagane romane, simili alle nostre pappardelle e progenitrici delle lasagne, erano fatte con i legumi venivano mangiate con il ragù. Tipi di pasta simili alle lagane si trovano ancora oggi nella cucina campana e meridionale».
Se fare la pasta in casa era un rituale per le nostre nonne, sapienti massaie, che iniziavano il sabato o la domenica mattina presto per averla pronta per il pranzo in famiglia, oggi la questione è come risparmiare tempo e scegliere gli ingredienti giusti tra le migliaia a scaffale nel supermercato.
Succedeva nella Roma imperiale, in età rinascimentale, con i viaggi di scoperta e ai giorni nostri con la globalizzazione: gli ingredienti si mescolano e la cucina diventa sempre più creativa. Alla pasta con il sugo, il ragù o con i fagioli – pasta e fasoi, ecco un piatto tipico veronese –  si aggiungono nuovi abbinamenti, per esempio un maggiore utilizzo delle spezie e di sapori orientali. Nel tempo sono pure cambiati i metodi di cottura, le abitudini, gli stili e i ritmi di vita. Oggi la pasta si compra precotta per averla pronta in pochi minuti.
«Le prime descrizioni in epoca romana – riprende Fontaneto – parlano di sfoglie alternate con farcia di carne, ma non erano bollite, bensì messe direttamente nel forno. È con l’affermazione del principio di bollitura della pasta, nel Medioevo, che ci si avvicina al concetto di pasta fresca ripiena. Altro esempio: gli agnolotti derivano dagli “agnellotti”, che si preparavano con un ripieno di carne d’agnello».
Nella storia gastronomica, l’incontro della nostra tradizione di pasta italiana con il Nuovo Mondo sancisce un importante cambiamento.
«Nel 1492 la pasta incontra il pomodoro. La scoperta dell’America è stata un grande spartiacque per la gastronomia. In Europa arrivano i prodotti del Nuovo Mondo, per esempio le patate, che si incontrano con un altro piatto, il baccalà, che proviene dalle isole Lofoten, un arcipelago della Norvegia dove poco prima del 1492 il nobile mercante veneziano Pietro Querini fa naufragio e lo importa in Italia. Dall’Estremo Oriente era già arriva il riso, ancora nel Mille da Carlo Magno, più tardi (intorno alla metà del 1400) grazie al duca di Milano la risicultura si diffonde nelle nostre zone. Quindi tra XV e il XVI secolo cambia tutto nella gastronomia italiana ed europea. Si pensi che il pomodoro – rimarca l’esperto – all’inizio veniva tenuto in casa come pianta ornamentale, si pensava addirittura che fosse velenoso. Sarà solo nel 1800 che la pasta incontrerà il pomodoro e i giochi saranno fatti. Ecco l’inizio di una nuova era!».
Un ritratto di Pellegrino Artusi
Pellegrino Artusi, gastronomo e critico letterario dell’Ottocento, nel suo manuale “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” ha codificato la cucina regionale italiana e creato un unico ricettario valido ancora oggi, tanto da essere il libro più letto della cucina italiana; raccoglie le tradizioni di un’Italia divisa geograficamente ma unita a tavola da un piatto di pastasciutta.
La cottura ideale? «Senza dubbio al dente», per la migliore conservazione dei valori nutritivi, della digeribilità e di un senso di sazietà. L’Italia della pasta si divide tra i sostenitori di quella liscia e gli amanti di quella rigata: la prima è più leggera, la seconda ha il pregio di legarsi meglio al sugo. Per entrambe vale la regola che siano rigorosamente trafilate al bronzo, per avere quella consistenza ruvida, che garantisce più sapore e tenuta in cottura, quindi maggiore resa nella ricetta finale. 

(Pubblicato sul settimanale Verona Fedele del 13 marzo 2016)

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